Le storie di Moto.it - Coronavirus: quando la moto è uno strumento indispensabile

Le storie di Moto.it - Coronavirus: quando la moto è uno strumento indispensabile
Serena Liso
  • di Serena Liso
In questi giorni difficili per tutti, vi abbiamo già spiegato che non possiamo usare la moto per fare i soliti giri o per fare sport. Nulla vieta invece di usarla per andare al lavoro. Pensiamo alle forze dell'ordine, ai medici e agli infermieri, a chi lavora nei negozi di alimentari, nelle farmacie o nelle banche. Ecco le esperienze personali di alcuni nostri lettori
  • Serena Liso
  • di Serena Liso
22 marzo 2020

Con l'emergenza Coronavirus, siamo tutti costretti a rimanere a casa e quindi a lasciare le nostre moto in garage. Ma ci sono tante persone che lavorano negli ospedali, nelle forze dell'ordine, nelle farmacie o nei negozi di alimentari che rimangono operativi per la comunità e che in questi giorni non hanno altra possibilità che muoversi con la propria moto per andare a lavoro.

Qualche giorno fa, sul sito e sui nostri social, abbiamo lanciato un appello: raccontateci le vostre storie, in modo da poterle poi condividere con tutti i lettori di Moto.it.

Eccone qualcuna

Adriano, tecnico di radiologia

Adriano è un motociclista. Ha 47 anni, è milanese, è sposato e ha un bimbo di tre anni, Federico, che non vede da quasi una settimana. Sì, perché Adriano è un tecnico sanitario di radiologia medica alla clinica Sant'Ambrogio di Milano che in questi giorni ha rivoluzionato tutti i reparti per accogliere i pazienti affetti da COVID19.

E' a contatto tutti i giorni con i malati e quindi è costretto a vivere in un appartamento da solo, lontano da Federico e da sua moglie, medico nucleare, anche lei impegnata nella lotta contro il Coronavirus. Turni lunghi e situazioni difficili.

I momenti più belli della giornata sono le telefonate su Skype con il suo bimbo, che per ora vive con i nonni, e i viaggi casa-lavoro in sella alla sua GSR600.

La più grande passione di Adriano è proprio la moto. In garage ha anche una RSV4 del 2018 che non vede l'ora di usare in pista, magari al Mugello, la sua pista preferita. Il suo lavoro consisdte nell'effettuare le radiografie del torace ai pazienti in rianimazione, ai ricoverati e ai sospetti di contagio. Adriano ha fatto il tampone otto giorni fa ed era negativo.

Ha iniziato a lavorare nel novembre del 1997 e, con il passare degli anni, si è costruito una corazza emotiva resistente. Ma il Coronavirus lo sta impressionando. E ogni sera, quando torna nella sua casa, prima di addormentarsi ha due pensieri fissi: rivedere sua moglie e il suo Federico, tornare a girare con la sua moto. Non sa quando succederà, ma succederà.

Domenico, medico

Domenico vive a Napoli, ha 30 anni, lavora come medico specializzato in audiologia e foniatria all'ospedale universitario Federico II ed è un motociclista appassionato. Ha una fidanzata che, però, da quando è iniziata la quarantena, non può più vedere.

Lavora soprattutto con bambini da 0 a 12 anni con perdite di udito di vario grado. E' sempre in contatto con i suoi pazienti e quindi con i genitori che vivono la clinica come un'estensione della propria casa.

Il suo compito, oltre a trovare soluzioni per curare i bambini, è anche quello di istruire i genitori che si trovano impreparati di fronte a tale difficoltà.

Nel cuore di Domenico, dicevamo, c'è anche lei: la moto. Una passione che gli ha trasmesso suo papà. In garage ha parcheggiate: una pitbike Bucci, una Ducati 1198 Bayliss replica, una BMW R1250RS e un Beverly 350s per la città.

A tutti i motociclisti Domenico vuole mandare un messaggio: in questo periodo bisogna fare ancora più attenzione perché le persone sono sbadate, agitate e stressate. Se esistesse un momento più sbagliato per prendersi dei rischi andando in moto, sarebbe proprio questo.

Il suo sogno nel cassetto? Fare un viaggio all'estero in moto con il suo papà, magari nel deserto. 

Matteo, infermiere

Matteo ha 30 anni e vive a Concesio, nel bresciano. E' un motociclista amante dei viaggi e lavora come infermiere di Pronto Soccorso presso l'istituto Fondazione Poliambulanza, il secondo ospedale più grande di Brescia.

Da quasi due settimane vive da solo, lontano da sua moglie e dal piccolo Andrea, di quasi due anni. Da poco hanno scoperto che presto diventeranno in quattro. Proprio in questi giorni sua moglie ha fatto la morfologica e lui non ha potuto accompagnarla perché non gli avrebbero permesso l'accesso. Matteo è a contatto con gli affetti da COVID19 tutti i giorni.

Il suo ospedale è stato completamente trasformato per accogliere i positivi al Coronavirus ma è stata un'operazione graduale. A metà febbraio, Matteo torna a lavoro dopo 10 giorni di ferie. Nel pronto soccorso inizia l'isolamento e viene creata una stanza dedicata per tutti coloro che presentavano sintomi e provenivano dalla Cina. Da domenica 23 febbraio, il direttore di Pronto Soccorso ha cominciato a rivoluzionare il sistema e da un'area con soli 6 posti letti con un solo infermiere, si è arrivati ad occupare tutta l'area.

Ora ci sono barelle e poltrone ovunque. L'ospedale è pieno. Nonostante questo disagio, per Matteo i turni rimangono invariati ma la fatica è doppia. Ha vissuto tanti momenti difficili ma nulla è paragonabile a quello che sta vivendo in questi giorni.

Va sempre a lavoro in moto, una Honda Transalp, la sua compagna di viaggio. Per lui la moto non è adrenalina e velocità. Ma è un momento che dedica a se stesso per staccare il cervello da tutto e tutti e non pensare a nulla, soprattutto in questo momento.

Questa passione l'ha coltivata da solo. Suo papà aveva un negozio di accessori moto e, quando era più giovane, capitava spesso che andasse ad aiutarlo. Ma non ha mai voluto comprargli il motorino e quindi ha atteso di essere indipendente e ha realizzato questo suo sogno.

Gli manca la normalità, la sua famiglia. Non vede l'ora di tornare a lavoro e trovare 50 persone fuori dall'ambulatorio che aspettano per piccole cose piuttosto che trovare tanti pazienti attaccati al respiratore.