I motori bicilindrici orizzontali, rari e vincenti

Massimo Clarke
  • di Massimo Clarke
Questa architettura motoristica ha avuto scarsi impieghi, molto più diffusa anche oggi è quella con i cilindri disposti verticalmente, ma ha al suo attivo un campionato mondiale velocità
  • Massimo Clarke
  • di Massimo Clarke
1 giugno 2020

Motori con due cilindri paralleli ce ne sono stati e ce ne sono tuttora molti. Anzi, per tale architettura costruttiva di recente alcuni costruttori hanno abbandonato quella a V, che negli ultimi anni aveva spopolato.

A questo punto però ci si chiede dove debbano “puntare” i due cilindri. Tradizionalmente sono verticali (cioè puntano verso l’alto) o sono leggermente inclinati in avanti. Ma orizzontali, quando mai? E invece in un passato non molto lontano ci sono stati alcuni significativi esempi di impiego di tale schema, sia tra le moto da competizione che tra quelle di serie.

Forse non molti appassionati ricordano che il primo campionato mondiale è stato conquistato, nella classe regina, dalla AJS E 90, più nota come “Porcupine”, il cui motore aveva due cilindri paralleli disposti orizzontalmente. Beh quasi, per essere precisi. A ben vedere infatti erano leggermente inclinati verso l’alto.

Questo bicilindrico era stato in origine progettato con l’obiettivo di adottare la sovralimentazione, che invece è stata vietata dalla FMI nel dopoguerra. Il compressore avrebbe dovuto essere collocato sul dorso del basamento.
Le misure caratteristiche erano quadre (68 x 68,5 mm) e la distribuzione bialbero con comando a cascata di ingranaggi. Le due valvole di ogni cilindro erano inclinate di 90°. Data la disposizione dei cilindri i progettisti (che inizialmente erano Matt Wright e Joe Craig) decisero di rompere con la tradizione inglese. Per limitare l’ingombro longitudinale adottarono infatti un cambio in blocco, sempre del tipo con presa diretta, e una trasmissione primaria a ingranaggi.

Di conseguenza l’albero a gomiti, che poggiava su tre supporti di banco, girava all’indietro. Tra le caratteristiche inconsuete spiccava l’impiego di bielle forgiate in lega di alluminio e di un basamento in lega di magnesio. L’albero aveva le manovelle a 360°. Quando, nel 1949, l’AJS ha vinto il mondiale, la potenza era dell’ordine di 48 CV a 7600 giri/min.

Negli anni Cinquanta la Motobi ha prodotto la Spring Lasting, con motore bicilindrico a due tempi dalla tipica architettura “a uovo”. La versione sportiva, dotata di due carburatori, forniva ottime prestazioni e si è ben comportata nelle gare stradali dell’epoca
Negli anni Cinquanta la Motobi ha prodotto la Spring Lasting, con motore bicilindrico a due tempi dalla tipica architettura “a uovo”. La versione sportiva, dotata di due carburatori, forniva ottime prestazioni e si è ben comportata nelle gare stradali dell’epoca

Venti anni dopo un’altra 500 a due cilindri paralleli disposti orizzontalmente ha fatto parlare di sé ai massimi livelli vincendo il GP delle Nazioni, che nel 1969 si è corso a Imola.
Si tratta della Linto, unica moto con distribuzione ad aste e bilancieri che si sia imposta in una gara valida per il campionato mondiale. Questa mezzo litro da competizione era stata progettata da Lino Tonti nel 1967 con l’obiettivo di realizzare un mezzo economico e di facile manutenzione in grado di fornire prestazioni superiori a quelle dei monocilindrici inglesi (Norton e Matchless) e quindi ideale per i piloti privati.

Per realizzare il motore il tecnico romagnolo aveva in pratica accoppiato due monocilindrici Aermacchi Ala d’Oro 250, dei quali venivano impiegati, oltre alle teste e ai cilindri, anche le bielle, i pistoni, le valvole e via dicendo. Nuovi erano ovviamente l’albero a gomiti (con manovelle a 360°), la trasmissione e il basamento. La potenza di questo bicilindrico, che aveva un alesaggio di 72 mm e una corsa di 61 mm, era leggermente superiore a 60 cavalli a circa 10000 giri/min.
La Linto ha avuto una discreta diffusione tra i piloti che correvano nel mondiale, ma è apparsa quando già stavano cominciando a entrare in scena le 500 giapponesi a due tempi.

Svariati anni prima Tonti aveva fondato un suo studio tecnico che aveva denominato Linto. Uno dei suoi progetti riguardava un bicilindrico orizzontale da competizione di 125 cm3. Il motore, che aveva la distribuzione bialbero, è stato realizzato nel 1952 e ha effettuato anche alcune prove in pista ma non è purtroppo uscito dallo stadio di prototipo.

La Linto è unica moto con distribuzione ad aste e bilancieri che si sia imposta in una gara del campionato mondiale. Questa mezzo litro da competizione era stata progettata da Lino Tonti

È interessante osservare che qualcun altro, diverso tempo prima che uscisse la Linto 500, aveva pensato di accoppiare due monocilindrici ad aste e bilancieri derivati dalla serie per costruire una mezzo litro da competizione.
Si tratta dello svizzero Werner Maltry, che aveva unito due Motobi realizzando la Reima. L’iniziativa era eccellente ma di questa moto, che a quanto pare è stata costruita in un solo esemplare nei primi anni Sessanta, portato in gara in un paio di occasioni da Paolo Campanelli, non si è poi saputo più nulla.

La Motobi aveva realizzato un motore a due cilindri paralleli disposti orizzontalmente che è stato impiegato su di un modello di serie denominato Spring Lasting, costruito in un apprezzabile numero di esemplari tra il 1953 e il 1960. Si trattava di un due tempi che nei primi esemplari aveva l’ammissione a distributore rotante. Tale soluzione non deve aver fornito buoni risultati perché è stata sostituita molto rapidamente dalla classica aspirazione controllata dal pistone. Il motore è stato costruito in versioni di 200 (48 x 54 mm) e di 250 cm3 (54 x 54 mm).
Quest’ultima nel modello Gran Sport erogava 12,6 CV a 6500 giri/min. Una di queste moto ha vinto la sua classe nella Milano-Taranto del 1955.

Negli anni Cinquanta parlare di bicilindrici orizzontali significava parlare di Rumi. Questa casa bergamasca ha legato il suo nome a una serie di brillanti modelli a due tempi dotati appunto di tale frazionamento e di tale architettura. Nel corso dell’evoluzione le versioni sportive del motore di 125 cm3 (42 x 45 mm) sono state dotate di cilindri in lega di alluminio con canna cromata al posto dei precedenti in ghisa.

Ogni cilindro era dotato di due condotti di travaso e il cielo del pistone era dotato di un deflettore conformato a V. Il basamento era costituito da due parti che si univano secondo un piano orizzontale e la frizione era collocata a una estremità dell’albero a gomiti.
Le Rumi più sportive o destinate a impiego agonistico erano alimentate con due carburatori ed erano in grado di fornire prestazioni assai vivaci, che hanno consentito loro di ottenere numerosi successi tra i quali spiccano quelli nella Milano-Taranto del 1954, nel Motogiro dell’anno seguente e nel campionato della montagna del 1959.

La foto mostra il motore Rumi 125 in una versione di metà anni Cinquanta, a doppio carburatore e con cilindri in lega di alluminio e canna cromata. Le brillanti bicilindriche bergamasche che lo impiegavano hanno ottenuto ottimi risultati sia nelle maratone stradali che nelle gare in salita
La foto mostra il motore Rumi 125 in una versione di metà anni Cinquanta, a doppio carburatore e con cilindri in lega di alluminio e canna cromata. Le brillanti bicilindriche bergamasche che lo impiegavano hanno ottenuto ottimi risultati sia nelle maratone stradali che nelle gare in salita

Tra la metà degli anni Sessanta e l’inizio degli anni Ottanta alcune case hanno realizzato moto da competizione con motore a due cilindri paralleli disposti orizzontalmente (sempre a due tempi, come ovvio). Tra di esse solo la Motobecane 125 ha ottenuto risultati importanti, arrivando seconda nel mondiale 1980 e vincendo vari Gran Premi.
La Montesa 250 progettata e costruita da Francesco Villa nel 1966 si è comportata molto bene a livello nazionale ma all’estero ha corso e ottenuto abbastanza poco (e comunque aveva a che fare con le Morini e le Benelli ufficiali, se non addirittura con le moto dei grandi costruttori giapponesi).

Nel 1974 si è vista solo fugacemente la DRS 125 progettata da Peter Durr.
Due anni dopo è apparsa la Bultaco bicilindrica, essa pure di 125 cm3, che però è stata impiegata solo saltuariamente per un paio di stagioni; per la sua attività agonistica infatti la casa spagnola aveva puntato esclusivamente sulla 50 (ex-Piovaticci), che effettivamente andava fortissimo, tralasciando lo sviluppo della ottavo di litro (che peraltro appariva problematico).

Un’ultima citazione merita la Iprem 125 del 1980, che però ha avuto vita breve, pur avendo ottenuto alcuni buoni piazzamenti.